Mariuccia Casadio
Lucia Sammarco Pennetier: Conversation Pieces
Defining them “accessories” would definitely be improper.
Lucia Sammarco Pennetier’s hats are unique and intriguing works of art, free from the imposition and influence of fashion and far from aesthetic or functional dependence on any look.
They are unrepeatable prototypes, inspired and shaped by unique attentions, by ever changing choices of material and methods. Small walking sculptures that successfully aim to play a central, dominant and determining role in a lady’s wardrobe. Hats that mischievously reveal and conceal a glance, that alter, underline and elevate a body’s line and proportions, defining and amplifying women’s presence in the world. It is not by chance that Lucia Sammarco Pennetier conceives her hats as defensive and offensive arms, instruments of conquest and seduction, a must-have for any occasion. Lucia Sammarco Pennetier is capable of giving her creations a desirable, graceful, and delicate line, combined with daring, insidious and destabilizing notes.
Modular constructions, vibrant, changing and moving shapes, that she creates by inlaying, constructing and mounting fabrics and textures onto the lightest wire structures.
These creations come from an unusual practice, started less than four years ago, moulded by a determined experimentation and a challenge to the laws of gravity, subduing weights and material consistencies, giving birth to hand made lines and shapes and ever changing subjects and structures. A craft with no rules, extraordinarily alien to millinery and couture, that however can rightly be part of a still to be written history of the XX century. The history of a world of elegant and emancipated women, muses and icons of art, cinema and fashion; from Greta Garbo to Irene Brin,from Daisy Fellows to Elsa Schiapparelli, or from Anna Piaggi to Isabella Blow, these are the women who have made hats a matter of identity, an irreplaceable mode of expression and communication, fixing in collective memory indelible and irreproducible examples of ability in shading and disguising a look with veils and feathers, in personalizing a peak and a brim line with minimal and rapid gestures, in putting hats on and taking them off with impeccable grace, with no aid
of mirrors and combs. This is the imaginary that seems to have nourished passion and awareness in Lucia Sammarco Pennetier, who now proves to know how a beautiful hat may become the centre of a universe and of being capable of creating assemblages of fluid, organic, figurative lines, of minimal, geometric and abstract elements - not only to be worn. Her creations are conversation pieces, irresistible attention magnets, visual expressions that act like stones thrown into a pond, that have the power to break into the uniformity of contemporary imaginary, and to modify, destabilize and reinvent reality, awakening curiosity and a research for contact, communication and exchange.
Definirli “accessori” è decisamente improprio, perché i cappelli di Lucia Sammarco nascono liberi da imposizioni o condizionamenti della moda, svincolati da oneri di dipendenza estetica o funzionale a un look, unici e intriganti come dei pezzi d’arte. Sono prototipi irrepetibilmente ispirati e informati da attenzioni esclusive, da scelte sempre diverse di materiali e procedure. Piccole sculture da passeggio che ambiscono con successo a ricoprire un ruolo centrale, dominante, determinante nel guardaroba femminile,
Cappelli, o piuttosto cappellini che maliziosamente celano e rivelano lo sguardo, che alterano, sottolineano, elevano fisionomie e proporzioni del corpo, che definiscono e amplificano la presenza delle donne nel mondo. Lucia Sammarco li pensa non a caso come delle armi di difesa e d’offesa, degli strumenti di conquista e di seduzione, delle conditio sine qua non per volere uscire di casa. E sa come rendere irrinunciabile, leggiadra, delicata, ma anche ardita, insidiosa, destabilizzante la fisionomia delle sue creazioni. Costruzioni modulari, forme palpitanti, cangianti, semoventi, che realizza intarsiando, sovrapponendo, montando su esilissimi scheletri in fil di ferro tessuti e textures.
E sembrano generare da una pratica inconsueta, che ha preso il via meno di quattro anni fa, determinatamente sperimentando e sfidando via via le leggi gravitazionali, piegando i pesi e le consistenze dei materiali, generando manualmente linee e forme, soggetti e strutture sempre diverse. Una pratica espressiva priva di regole, straordinariamente aliena da nozioni di modisteria o di couture, la sua può tuttavia rientrare a buon diritto in una storia non scritta del Novecento, un immaginario di donne eleganti e emancipate, d’icone e muse femminili del cinema, dell’arte, della moda, che da Greta Garbo a Irene Brin, da Daisy Fellows a Elsa Schiaparelli, o da Anna Piaggi a Isabella Blow ha fatto del cappello una cifra d’identità, un insostituibile mezzo di espressione e comunicazione. Instillando nella memoria collettiva esempi incancellabili e irriproducibili di abilità nel metterli e toglierli con impeccabile grazia, senza l’ausilio di specchi o spazzole, nell’adombrare e mascherare lo sguardo con piume e veli, nel personalizzare con minimi veloci gesti il disegno di falde o visiere. Quell’immaginario sembra avere alimentato le passioni e consapevolezze di Lucia Sammarco, che mostra di conoscere come e quanto intorno a un bel cappello possa ruotare l'universo. E sa creare assemblaggi di linee morbide, organiche, figurative o altrimenti di elementi minimali, geometrici, astratti che non sono solo da indossare e da portare in giro. Ma vanno piuttosto intesi come dei “conversation pieces”, degli irresistibili catalizzatori d’attenzioni. Degli argomenti visuali che, come sassi gettati in uno stagno, hanno il potere di irrompere nella quieta omogeneità dell’immaginario contemporaneo.
Di modificare, destabilizzare, reinventare l’esistente. Risvegliando curiosità, ricerche d’incontro, contatto, comunicazione, interscambio.